Riabbracciare Parigi Recensione

La storia del ritorno alla vita personale e in città di una sopravvissuta a un attentato. Virginie Efira svetta in Riabbracciare Parigi, un film che Alice Winocour ha dedicato alla sua città e a chi è rimasto in vita, ma segnato, come il fratello. La recensione di Mauro Donzelli.

Una donna che cammina per la città, sia prima che dopo. Non sembra cambiato niente, ma gli occhi e il modo in cui occupa lo spazio della sua dimensione quotidiana è completamente diverso. Lo sguardo di Mia è stato sconvolto da un attentato in una brasserie in cui si era rifugiata per ripararsi da un forte temporale. Era sola, senza il marito richiamato d’urgenza al lavoro. Passano tre mesi e continua ad aggirarsi per una città che non sente più sua, in cerca di un percorso doloroso per suturare la ferita e ricomporre una memoria che per ora è costituita solo da pezzi sfumati di un puzzle che non può condividere con chi ama e le sta vicino. Rivedere Parigi, con occhi di nuovo complici, un auspicio che ci è ricordato dal titolo originale di Riabbracciare Parigi, film in cui la quarantenne Alice Winocour racconta il “dopo attentati” ispirandosi ai racconti del fratello, sopravvissuto al Bataclan. Lo fa allontanandosi dalla dinamica reale di quella notte del 13 novembre 2015, ampliando lo sguardo con il racconto di un processo post traumatico universale.

Dopo tre mesi lontana, Mia (una straordinaria, una volta di più, Virginie Efira) torna e si trova imprigionata nella tensione naturale fra oblio e memoria, dimenticare e ricordare, che divide sopravvissuti e testimoni da chi non è stato sfiorato dai fatti, se non mediaticamente, che vorrebbe andare avanti e non ripensarci o riparlarne più. Ma per Mia è immaginabile solo ritrovando un ordine nei fatti dispersi nella memoria, magari in cerca di “un diamante nel trauma”. Per farlo scopre che nella brasserie si riunisce un gruppo di vittime di quella notte, mentre il suo percorso richiede un’esclusività tale da escludere (momentaneamente?) chiunque non abbia vissuto la stessa esperienza. Quindi anche il marito, che arriva a sbottare “avrei preferito esserci in quel cazzo di attentato”, o gli amici. È un cammino composito e cruciale, con le tappe regolamentate dalla psiche in sofferenza, mentre l’ultima persona con cui ha scambiato uno sguardo prima dell’arrivo dei terroristi, interpretato con grande sensibilità ed energia da Benoît Magimel, rappresenta uno degli aiutanti che l’accompagnano nel cammino.

Winocour compone una varietà esaustiva di sopravvissuti, da una ragazzina che ha perso i genitori, con cui aveva appena litigato, che non riesce più a separarsi da nessuno senza essersi prima riconciliata, ai sans papier delle cucine, non conteggiati fra i feriti perché fuggiti, dei fantasmi assenti, mentre la sindrome malata di chi rivendica di esserci stato, anche se non nella realtà, la fa da padrone. Sono tutti in cerca di chi è stato vicino in quei momenti, decine di minuti di intimità improvvisa e imprevista, scariche di ormoni del benessere dovute anche semplicemente a una mano tenuta stretta.

Riabbracciare Parigi rivendica un posto in primo piano fra i film francesi – alcuni notevoli – che hanno ripercorso gli attentati del 2013. Winocour evita retorica e sensazionalismo e trasferisce la tensione interna fra la protagonista e la sua memoria in un rapporto con Parigi, capace di anestetizzare la sua anima ferita con la sua natura sempre uguale a sé stessa, indifferente eppure magnifica. Non nasconde il trauma, lo fa emergere semmai a galla, proponendo soluzioni drastiche ma inevitabili, perché la vita non potrà mai tornare al “prima”, ma potrà presentare un “dopo” diverso e stimolante, sempre che si vinca la tentazione alla solitudine interiore, per ritrovare uno sguardo nuovo, grazie al senso di comunità che anche una metropoli, se abbiamo il tempo e la voglia di metterci in ascolto, può regalare.

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