Non è la pena più alta che sia stata inflitta ma di certo quella che fa più rumore. Dopo oltre un mese di camera di consiglio il Tribunale di Vibo Valentia ha condannato a undici anni di carcere per concorso esterno in associazione mafiosa l’avvocato Giancarlo Pittelli, ex senatore prima di Forza Italia, poi di Fdi. Anche per i giudici è lui l’eminenza grigia che per anni ha sussurrato all’orecchio di Luigi Mancuso strategie di certo non solo processuali.
Pittelli: “Io, vittima di complotto”
La procura antimafia di Catanzaro che è stata di Nicola Gratteri, oggi capo a Napoli, lo accusava di aver messo a disposizione del capo del clan Mancuso “il proprio rilevante patrimonio di conoscenze e di rapporti privilegiati con esponenti di primo piano a livello politico-istituzionale, del mondo imprenditoriale e delle professioni”. Ne sono nate polemiche, persino comitati in difesa del senatore che si è sempre detto vittima di un complotto o un equivoco, a dispetto delle inchieste che – una dopo l’altra – hanno iniziato a mettere in fila i suoi contatti e rapporti nel mondo dei clan.
Quando passa a Fdi, Meloni: “Sarà un valore aggiunto”
Ma i giudici su Pittelli sono stati cristallini: l’impianto accusatorio è solido, l’ex senatore – hanno stabilito – era uomo dell’entourage strettissimo di Mancuso. Massone di alto rango, è stato uomo di punta di Forza Italia, di cui conosceva mosse e segreti fin dalle origini se è vero che – intercettato – ha svelato: “Dell’Utri, la prima persona che contattò per la formazione di Forza Italia, fu Piromalli a Gioia Tauro”. Quando in polemica con il partito fondato da Berlusconi è passato a Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni in persona commentava contenta: “Sarà un valore aggiunto”.
L’impianto accusatorio confermato: il mosaico criminale esteso e variegato
“La prima impressione che si può dare del dispositivo è che l’impianto con riferimento all’articolazione e alla struttura dell’associazione ‘ndranghetistica che costituisce questa cappa in provincia di Vibo Valentia risulta sostanzialmente confermata”, dice il procuratore aggiunto Vincenzo Capomolla, che insieme al procuratore capo Gratteri ha coordinato il pool di magistrati – Annamaria Frustaci, Antonio De Bernardo, Andrea Mancuso – che hanno lavorato all’inchiesta. La sentenza è ampia e andrà studiata, alcune accuse di associazione mafiosa sono state derubricate in concorso esterno e tutto – spiega – dovrà essere esaminato con attenzione anche in vista dell’appello. Ma il processo, che per anni è stato oggetto di critiche feroci, con la Dda accusata di “pesca a strascico” ha retto. E restituisce con la forza di una sentenza l’immagine dettagliata di un mosaico criminale esteso e variegato, in grado di tenere insieme picciotti e politici, broker della droga e professionisti, killer “con un cimitero sulle spalle” e divise infedeli. E per tutti o quasi le condanne sono state pesantissime.
Gli altri condannati, tra ex agenti Dia e imprenditori
È di dieci anni la pena inflitta all’ex agente della Dia passato ai servizi Michele Marinaro, che soffiava all’orecchio di Pittelli i segreti che il collaboratore Andrea Mantella stava rivelando ai magistrati, di due anni e sei mesi quella decisa per l’ex capitano dei carabinieri Giorgio Naselli e di quattro quella imposta all’ex comandante della polizia municipale di Vibo Valentia Filippo Nesci. Dovrà scontare 14 anni di carcere l’avvocato Francesco Stilo, legale a disposizione dei clan non solo per le attività difensive. Condannati anche gli imprenditori Mario e Umberto Artusa (rispettivamente 21 anni e 18 anni di carcere), Mario Lo Riggio (17 anni), Gianfranco Ferrante (20 anni e 2 mesi). Una condanna arriva anche per Pietro Giamborino, ex consigliere regionale che per la procura antimafia di Catanzaro era stato costruito a tavolino dai clan di Piscopio, a cui si sarebbe venduto barattando voti in cambio di lavori e appalti. Per lui i magistrati avevano chiesto 20 anni di carcere, ma il tribunale ha stabilito una condanna a solo un anno e mezzo. Toccherà attendere le motivazioni per comprendere cosa non abbia convinto i giudici, che hanno assolto invece l’ex sindaco di Pizzo ed ex presidente di Anci Calabria Gianluca Callipo. Per la Dda di Catanzaro era non solo imprenditore ma anche amministratore al servizio dei clan per questo per lui era stata chiesta una condanna a 18 anni di carcere.
Boss, gregari, broker della droga
Su boss, gregari, broker della droga, inclusi quelli che intercettati programmavano di diventare colletti bianchi, perché “puoi prendere milioni di euro ma rischi di farti arrestare, ci dobbiamo mettere giacca e cravatta, dobbiamo essere gente finanziaria”, piovono centinaia di anni di carcere. Il Tribunale di Vibo Valentia ha condannto il boss Saverio Razionale (30 anni di carcere), l’ex latitante Pasquale Bonavota (28 anni), arrestato nei mesi scorsi a Genova, i boss Domenico e Nicola Bonavota (rispettivamente 30 e 26 anni di reclusione), Domenico Cugliari (22 anni e 6 mesi), Antonio Larosa (24 anni e 6 mesi), Paolino Lo Bianco (30 anni), Antonio Macrì (20 anni e 10 mesi), Salvatore Morelli (28 anni e 4 mesi), Valerio Navarra (23 anni), Agostino Papaianni (20 anni), Rosario Pugliese (28 anni) e Antonio Vacatello (30 anni).
Tre generazioni delle stesse famiglie
Fra gli imputati ci sono anche tre generazioni delle stesse famiglie – nonno, padre, nipote – tutti a vario titolo accusati di associazione mafiosa, concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, usura, riciclaggio, detenzione illegale di armi ed esplosivo, ricettazione, traffico di influenze illecite, trasferimento fraudolento di valori, rivelazione e utilizzazione di segreto d’ufficio, abuso d’ufficio aggravato, traffico di droga. Una galassia criminale feroce, in grado di relazionarsi con mondi sulla carta diversi e lontani, dalla politica alle professioni, in realtà prezioso capitale sociale in grado di far moltiplicare potere e affari. Una cappa che per decenni ha soffocato il vibonese e inizia ad essere fatta a pezzi.